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venerdì 10 gennaio 2014

E' Hong Kong la capitale dei rifiuti tecnologici

Nel sud della grande nazione cinese, più precisamente nella provincia di Guangdong, si trova il grande centro di riciclaggio di Huaqing, dove circa tremila addetti lavorano incessantemente al riciclaggio degli scarti del materiale elettrico ed elettronico.

Nell'impianto di Huaqing, secondo soltanto a quello di Pechino, giacciono da anni in enormi magazzini vecchi televisori e schermi di computer, in attesa dell'ampliamento di questa struttura, con l'attivazione di uno specifico settore che si occupi di quel tipo di rifiuti.

Nonostante già a partire dal 2002 sia proibita per legge l'importazione dall'estero di rifiuti elettronici, non è certo per caso che a sole due ore di macchina, a sud dell'impianto di Huaqing, si trovi il grande porto dell'ex colonia britannica di Hong Kong.

Ogni giorno, attraverso le sue grandi banchine transitano decine di migliaia di container, ivi compresi quelli che trasportano illegalmente computer, televisori, telefoni cellulari ed ogni sorta di elettrodomestici che i paesi occidentali buttano via in quantità industriali.

Basti pensare, al riguardo che, nei soli Stati Uniti d'America, vengono mandati ogni giorno in discarica circa 150 mila computer: pur se la convenzione di Basilea vieta, da oltre vent'anni, l'esportazione di e-waste dai paesi ricchi a quelli in via di sviluppo, ancor oggi circa tre quarti dei rifiuti elettronici di Europa e America, viene caricato sulle navi e registrato come “rifiuti ferrosi”.

Nonostante l'operazione record del 2007, quando le autorità doganali di Hong Kong misero sotto sequestro 24 container illegalmente carichi di schermi TV e computer usati, per un totale di 200 tonnellate, occorre purtroppo prendere atto che la maggior parte di questi rifiuti sfugge ai controlli.

Anche perché, il più delle volte, questo genere di materiale elettronico viaggia mischiato con carichi del tutto legali, come le auto usate, per essere poi spedito in paesi in via di sviluppo, in primo luogo la Cina, oltre che in India e Africa occidentale.

lunedì 6 gennaio 2014

Dalla signora Benz all'auto di serie alimentata ad idrogeno

E' passato molto più di un secolo da quando Bertha, la moglie di Karl Benz, l'ingegnere tedesco a cui viene attribuito il merito di aver progettato la prima automobile, prese di nascosto la sua Motorwagen e partì, portando con sè i figli, per un viaggio di 200 chilometri: in realtà, la scappatella di Bertha rappresentò un riuscito escamotage per pubblicizzare la straordinaria invenzione del marito.

Quell'auto a tre ruote non superava i 15 chilometri orari, tanto che il viaggio della signora Benz e dei propri figli si protrasse per ben due giorni, ma la trovata funzionò, eccome: tanto che oggi, in tutto il mondo, si stima circolino un miliardo di automobili, la maggior parte delle quali funzionano, purtroppo, ancora grazie a un motore a combustione interna come quello di Benz.

Fino agli anni recenti, nei quali, grazie all'effetto combinato delle crisi petrolifere e di una sempre più diffusa coscienza ambientale, le maggiori case automobilistiche hanno deciso di investire in nuove tecnologie eco-compatibili: con la produzione di veicoli ibridi, il cui primo vero impulso risale ormai al 1997, anno dell'uscita della capostipite Toyota Prius.

Ed è la stessa casa automobilistica giapponese ad aver annunciato, proprio in questi giorni, di aver pronta per il 2015  la prima auto di serie alimentata ad idrogeno, che dovrebbe dare la spinta decisiva ad un vero e proprio cambiamento epocale: a Nagoya la chiamano Ultimate Eco Car, ovvero l'auto ecologica definitiva, sia perché avrà emissioni zero, sia perché la sua autonomia sarà libera da limitazioni, come avviene per le attuali auto elettriche.

La Ultimate Eco Car, infatti, l'energia la produce a bordo, facendo combinare l'idrogeno con l'ossigeno contenuto nell'aria, all'interno di una scatola detta stack, contenente vere e proprie pile capaci di trasformare l'energia chimica in energia elettrica, producendo solo acqua in forma di vapore e zero di anidride carbonica, o di qualsiasi altro agente inquinante come particolato, ossidi di azoto, monossido o idrocarburi incombusti.

Il tempo di rifornimento sarà di soli tre minuti e l'autonomia iniziale promessa è di 500 chilometri, ma la vera novità è che la Ultimate Eco Car, con i serbatoi di idrogeno pieni, può alimentare un'abitazione per un'intera settimana, tanto che, con l'avvento delle smart grid e del concetto di energia bidirezionale, potrebbero schiudersi orizzonti fin qui mai neppure immaginati.

Tutto pronto, allora? Manca solo un elemento fondamentale, ovvero una rete di distribuzione dell'idrogeno, la cui produzione ha bisogno di grandi quantità d'energia: in questo senso sarà necessario un grande sforzo, soprattutto da parte dei soggetti che producono e distribuiscono energia, ma anche dai vari governi nazionali, per portare avanti un progetto di mobilità ad emissioni zero, allo stesso tempo con costi abbordabili per tutti gli automobilisti.

lunedì 9 settembre 2013

Ambiente: Pellworm, l'isola delle rinnovabili

Si chiama Pellworm, ed è un isolotto tedesco nel Mare del Nord, popolato da non più di mille anime, facente parte dell'arcipelago delle Frisone settentrionali.

Ebbene, quest'angolo di terra (37,44 Km quadrati) spazzato dal vento, nel mezzo dell'oceano, rappresenta un vero e proprio modello di autogestione energetica, tanto da essere conosciuto come l'isola delle rinnovabili.

Quest'isola teutonica, distante un'ora di battello dalla terraferma, produce infatti tre volte l'energia elettrica necessaria alle esigenze dei suoi abitanti.

Tutto ebbe inizio negli anni ottanta, quando le eoliche e i pannelli solari sono stati testati sull'isola -ha raccontato alla Afp il borgomastro Juergen Feddersen- “e così molti agricoltori si sono riconvertiti in produttori di energia, assicurandosi ottimi profitti”.

Come già avvenuto in altri Comuni della Germania, anche a Pellworm i residenti amministrano in proprio questa “transizione energetica”, tanto che le otto pale eoliche, posizionate ai confini dell'isola per non guastare il paesaggio, sono di proprietà di 40 famiglie, tutte residenti sull'isola.

Inoltre, come spiega Kai Edlefsen, vice sindaco, allevatore bio e gestore del parco eolico “Viviamo circondati dall'acqua e ci siamo accorti che il livello dell'oceano, a causa dei cambiamenti climatici, ha preso a salire; non possiamo cambiare il mondo, ma proviamo a dare almeno  il nostro contributo”.

Per le giornate senza sole, oppure senza vento, gli isolani dispongono di una centrale a biogas, capace di trasformare mais e letame in metano, e quest'ultimo in elettricità.

Gli ingegnosi abitanti di Pellworm, però, guardano già più lontano, puntando all'obiettivo della completa autosufficienza energetica.

A tale riguardo, pare che E.ON SE, filiale del gigante dell'energia E.ON, abbia deciso di testare a breve, proprio a Pellworm, diversi sistemi di stoccaggio dell'elettricità, oltre alle cosiddette reti intelligenti "smart grids".

Ora, visto che alla Repubblica Italiana appartengono centinaia di isole, per una superficie complessiva che supera i 50.000 km quadrati, il Ministro per l'Ambiente s'è mai preso la briga di calcolare quanta energia pulita e quanta occupazione si potrebbero ricavare, puntando su progetti come quello di Pellworm, a livello nazionale?