Checché se ne dica, la
vera asimmetria che sta sgretolando l'Europa non è quella tra unione
monetaria (realizzata) e unione politica (inesistente), bensì quella
lasciata alla discrezione degli Stati nazionali a proposito di
fiscalità, diritti e protezione dei lavoratori.
Nell'attuale scenario di
crisi, sempre più spesso si sente proporre, quale unica alternativa
all'euroscetticismo, uno scatto in avanti verso l'unione politica:
purtroppo non è affatto vero che questo gioverebbe, da solo, a risolvere i
profondi problemi che affliggono in modo quasi incurabile gran parte
dell'Eurozona.
Per un motivo molto
semplice: tra Europa sì, Europa no, la guerra dei cachi si combatte
tra le politiche economiche comunitarizzate (moneta unica e
concorrenza) e quelle lasciate in balia dei singoli governi
nazionali, vale a dire quelle relative alla fiscalità, diritti e
protezione dei lavoratori.
Siccome le decisioni europee su queste materie devono essere assunte
all'unanimità, è sufficiente che uno stato membro sia contrario per
far sì che non vi possano essere regole fiscali comuni: ed è
proprio grazie all'assenza di soglie minime condivise di tassazione
che le imprese hanno finora potuto fare arbitraggio fiscale, creando o
spostando filiali operative nei Paesi dove la tassazione era più
conveniente.
Questo ha
ingenerato, a sua volta, una concorrenza al ribasso per quanto
riguarda la tassazione delle imprese: in qualche caso nella forma di
aliquote più basse che in passato, in altri casi -come in Italia e
in Grecia- attraverso l'incremento dell'evasione fiscale.
L'ovvia conseguenza,
visto che i vincoli di Maastricht imponevano soglie basse di deficit,
è stato l'aggravio del carico fiscale sulle persone fisiche (in
particolare lavoratori dipendenti e pensionati), accompagnato da una
progressiva riduzione delle prestazioni sociali erogate dai singoli
stati.
Lo stesso meccanismo del
voto unanime vale per quanto riguarda le politiche sociali e
dell'impiego, standard di protezione e livelli salariali minimi:
anche in questo caso l'Europa ha lasciato tutto alla decisione dei
singoli stati, contribuendo ad ingenerare un'ovvia riduzione delle
protezioni e dei diritti.
L'imminente consultazione
elettorale pone dunque alcuni imperativi, soprattutto a quelle forze
politiche che, come il MoVimento 5 Stelle, intendono impegnarsi per
un vero cambiamento: a partire dalla modifica di quei presupposti
sociali regressivi e di quel liberismo mercantilista, su cui sono
state costruite tutte le politiche europee, almeno a partire
dall'Atto unico europeo del 1986.
Infatti, se non si porrà fine
alla guerra dei cachi, ovvero alla concorrenza al ribasso tra i Paesi
dell'Eurozona in materia di politiche fiscali e di protezione del
lavoro, non sarà mai possibile realizzare una politica economica
comune, al punto che anche la sola idea di un'unione politica, quale
panacea per risolvere tutti i mali del Vecchio continente, finirebbe
con il rappresentare un'ulteriore, cocente delusione.