Cos'è che ci rende felici? Un
nuovo amore? Il denaro? Quanto denaro? Ebbene, secondo alcuni
ricercatori statunitensi, se provassimo a tracciare su un grafico le
curve della felicità e della ricchezza, le due linee continuerebbero
a crescere alla stessa velocità, intersecandosi al raggiungimento di
una cifra che si aggira attorno ai 2.000 dollari (1.500 euro circa)
mensili.
Una volta raggiunto questo
traguardo e una volta superata la quota 2000, la curva della felicità
diventa quasi piatta, anche nel caso quella della ricchezza
continuasse a salire: ad ogni aumento del reddito, infatti, non
corrisponderà più alcun aumento della felicità, quasi a conferma
di quel vecchio proverbio che recita “Non sono i soldi a fare la
felicità”.
Come nel caso di quei vincitori
di somme ingentissime alla lotteria, che si sono rovinati e poi
ritrovati, in tempi piuttosto brevi, in una condizione economica
molto più miserabile di quella pre-vincita: in pratica, questa
ricerca sostiene che, nella maggior parte dei casi, a rendere felici
le persone, non è tantissimo denaro, bensì una quantità sufficiente
a farci superare una certa soglia di soddisfazione.
Anche se potrebbero sembrare
discorsi banali, questo tipo di comportamenti vengono studiati in
modo approfondito da quella branca dell'economia che viene definita
“della felicità”, da Richard Layard, che per un certo periodo di
tempo è stato consigliere del primo governo di Tony Blair, a Bruno Frey dell'Università di Zurigo.
Ora, seppur non è del tutto
chiaro e definito che cosa ci possa rendere veramente felici, è
d'altra parte abbastanza evidente cosa non ci dà la felicità: la
mancanza di un lavoro, il rischio di perdere un lavoro, la negazione
di un futuro per i nostri figli, le cartelle di Equitalia, le
pensioni d'oro, il signoraggio delle banche e, soprattutto, essere
governati da una classe politica del tutto incompetente ed indecente.
In questi termini, non è certo
una rivelazione che la ricerca della felicità sia sancita
addirittura nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti,
oppure, senza andare troppo lontano, anche nella nostra Costituzione,
quando parla del “pieno sviluppo della persona umana” nell'art.
3.
Dunque, la felicità è un
nostro sacrosanto diritto, di cui spesso si preferisce non parlare,
come per una sorta di timore o di ingiustificato pudore: eppure, nel
Bhutan, un piccolo Stato asiatico che si trova tra Cina ed India, la
misura della ricchezza viene calcolata utilizzando il principio del
benessere interno lordo, in base al quale la ricchezza delle persone
consiste nel numero delle relazioni umane che queste riescono ad
intrattenere.
Ecco perché i figli di
Bhutan sono i più felici del mondo: in quel lontano e piccolo Paese,
infatti, si registrano esperienze di vita sorprendenti e momenti di
grandissima solidarietà, grazie ai quali questa comunità ha imparato a
compararsi sempre con quelli che stanno peggio; regola aurea cui far
riferimento quando ci sentiamo insoddisfatti di come vanno le cose,
assieme ad un altro vecchio adagio delle nostre parti, per il quale
non occorre neppure scomodare il governo del Bhutan, e cioè che chi
trova un amico, trova un tesoro.