Se l'Otto Marzo ha da
essere, che sia contro la marginalità di quelle donne che, facendo
le cose senza avere soldi, devono farle un po' più piccole, un po' più
svelte, un po' più faticose, così mi hanno detto parecchie donne
che conosco, che se vedono una mimosa se la rivendono: il problema
vero, oggi, è di sopravvivere sulla scena di un mondo che ti fa
pagare anche quello che non consumi.
Foto di Alessandro Barcella |
Vediamo di non essere
ipocriti, l'universo maschile occidentale ha considerato per millenni
le donne come parte dell'arredo domestico, roba loro, differenti solo
per la tendenza a fare figli: poi venne il Sessantotto, l'Otto Marzo,
e gli uomini hanno cominciato controvoglia a festeggiarle con il rituale
collettivo del mazzo di mimose.
E parecchie di loro
stavano magari pensando: fa freddo, ma perché non mi ha regalato un
paio di guanti?
Altre donne, in altri ambienti, si ritrovavano, al telefono, oppure incontrandosi per
festeggiare, conteggiando quelle che ritenevano
essere state le loro importanti conquiste: del fatto che avevano un
rapporto uterino con la storia, storico con l'utero, intimo con la
vita e con la morte, schizzinoso con la volgarità e dionisiaco col
sesso.
Alla perenne conquista
del mondo, ancor diverse dagli uguali ma pari ai diversi: dopo tre
giorni le mimose avevano fatto il marcio nell'acqua e l'odore era di
camposanto femminile: gli uomini riprendevano a considerarle chi con
terrore, chi con cieca dedizione, come sempre ad esercitarsi in
varie sociologie su “noi” e su “loro”.
Sarebbe proprio una bella
cosa se, oggi, il rito collettivo dell'Otto Marzo potesse finalmente
trasformarsi nel momento in cui entrambi i “generi”, sforzandosi
per superare ogni forma di steccato ideologico e culturale, provassero concretamente a mescolarsi per cambiare i destini di questo mondo cinicamente asessuato e sempre più alla deriva.
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